Yoga: solo ginnastica?

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Yoga: solo ginnastica?

di Federico Matrone *

Negli ultimi tre decenni, nei corsi trimestrali e nei seminari di yoga – ai quali ho, a vario titolo, partecipato, mi è capitato di fare alcune osservazioni.

La prima riguarda il numero notevolmente aumentato dei partecipanti in generale. La seconda osservazione è relativa all’incremento dei partecipanti di sesso maschile che si avvicinano alla disciplina. La terza si riferisce all’abbassamento dell’età media dei partecipanti, con presenze – per ora molto limitate – di adolescenti. La quarta osservazione fa riferimento alla modalità di approccio che spinge l’utenza verso la disciplina.

Ed è proprio su quest’ultimo elemento che vorrei condividere alcune riflessioni.

La maggior parte di chi si avvicina allo yoga, di regola, è spinta da una motivazione di carattere fisico, nel senso che il partecipante cerca nella disciplina risposte atte a ripristinare il proprio benessere fisicoperduto, o quantomeno in fase calante. Altri scambiano lo yoga con una ginnastica dolce, mentre altri ancora cercano di modellare il proprio corpo su modelli precostituiti.

In parte, ciò è dovuto al fatto che lo yoga, sviluppato in Occidente, in realtà si riferisce all’hatha yoga, ovverosia alla fase, nel sistema di Patanjali, chiamata asana.

Quello di assimilare lo yoga ad una disciplina corporea non è necessariamente un errore (lo yoga parte dal corpo – e da dove potrebbe altrimenti – perché cerca di ampliare la consapevolezza del proprio sé corporeo). Questa asserzione, però, quando limitiamo la percezione di noi stessi al proprio sé corporeo, rischia di diventare un errore.

In seguito, attraverso la pratica, avvertiamo la presenza di un sé più sottile – il sé pranico (o energetico) – percepibile in maniera grossolana per mezzo del respiro: anche in questo caso, l’identificazione respiro = prana, mentre all’inizio può aiutare a semplificare, alla lunga diventa una nuova limitazione e, quindi, un nuovo errore.

Quando la pratica diventa più profonda, si avverte la presenza di un sé ancora più sottile – il sé mentale – che al principio identifichiamo con la mente, percepita come un sistema generale, senza però avere la capacità di osservarne i dettagli, ovvero le sue funzioni.

Man mano che la nostra pratica di yoga progredisce, ci accorgiamo che questo sistema generale – che chiamiamo mente – è dotato di funzioni che talvolta non operano in maniera appropriata.

Tale condizione è abbastanza comune e ognuno di noi è in grado di sperimentarla direttamente.

In questo viaggio interiore, che va dall’esterno verso l’interno, dalla percezione più grossolana a quella più sottile, sperimentiamo l’esistenza di svariati sé.

Sperimentando un sé più interiore del sé corporeo, l’asserzione “sono il mio corpo” perde di valore e, di conseguenza, nella nostra auto-percezione si fa strada una nuova e più sottile identità.

E’ in questa fase che iniziamo a comprendere lo scopo dello yoga e, anche se continuiamo a praticare le asana, non pensiamo più allo yoga come ad una disciplina atta a mantenere il solo benessere fisico.