Yama

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Yama

Le corrette attitudini verso gli altri

 a cura di Marco Mandrino e della associazione Hari-om

Gli Asthanga, ovvero gli otto passi lungo la via dello Yoga, sono spesso attribuiti a Patanjali e ai suoi Sutra. In realtà sono molto più antichi ed esistono in forme più o meno simili anche nelle Upanishad, nei Puranas e nel Mahabharata. In essi sono enunciati i diversi passi o adempienze che colui che decide di dedicarsi alla pratica dello Yoga dovrebbe seguire per raggiungere l’obiettivo. Questi passi sono nell’ordine: Yama – le attitudini verso gli altri; Nyama – le attitudini verso se stessi; Asana – la posizione del corpo; Pranayama – il controllo dell’energia pranica; Pratyahara – l’introversione dei sensi; Dharana – la concentrazione; Dhyana – la meditazione; Samadhi – l’estasi.

Sull’interpretazione e sulle modalità da seguire per l’adempimento di questi precetti, vi sono delle divergenze di punti di vista tra le diverse tradizioni. La maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che Patanjali appartenesse culturalmente al movimento e al pensiero del Sankhia. Per questo motivo, è molto probabile che nella stesura dei precetti intendesse che l’adepto dovesse avvicinarsi un passo alla volta e passare al successivo solo dopo aver compiuto in modo soddisfacente quello precedente. Altre scuole e tradizioni affermano, invece, che sia opportuno avvicinare tutti gli otto stadi contemporaneamente, perché spesso il progredire in uno di essi è di supporto per l’adempimento degli altri. In questo senso, è semplice, per esempio, constatare che in occidente molti si avvicinano allo Yoga attraverso l’Hatha Yoga, cioè le varie posizioni del corpo e che successivamente allargano l’interesse anche al resto. Nonostante le divergenze, comunque, tutte le diverse tradizioni dello Yoga riconoscono la validità degli Yoga-Sutra di Patanjali e prendono gli Ashtanga come fondamento della disciplina.

I primi due passi (Yama e Nyama) riguardano precetti di etica nei confronti degli altri e di se stessi. Tradizionalmente il loro proposito è di incrementare la luminosità della luce divina dentro e attorno a noi e si basano sull’ipotesi che, affinché la pratica dello Yoga abbia effetto, è necessario vivere secondo le leggi naturali e onorare in ogni momento la fiamma sacra che risplende dentro di noi e in tutto ciò che ci circonda.

Come leggerete in seguito, l’adempimento letterale di questi precetti è concettualmente impossibile. I saggi che li hanno tramandati affermano però che essi hanno discendenza divina e che attraverso la discriminazione e l’ascolto della voce del proprio sé è possibile in ogni istante compiere la giusta scelta per essere in armonia coi precetti e la natura stessa.

Per il conseguimento degli Yama l’autocontrollo è essenziale e in generale senza di esso è difficile pensare a una qualsiasi progressione lungo il cammino dello Yoga.

Yama è diviso in cinque diversi precetti

Ahimsa

La non violenza. La pratica della non violenza ha lo scopo di eliminare le tendenze distruttive dell’aggressività e del desiderio di dominio. E’ il precetto fondamentale degli Yama sul quale poggiano anche gli altri. Ahimsa ha anche un aspetto attivo e cioè il lavorare attivamente nel mondo al fine di ridurre l’ammontare di violenza generale presente. Secondo il concetto del Karma, effettuare atti di brutalità fa sì che essi ritornino indietro con la stessa forza. Avere pensieri violenti e desiderare la violenza è altresì causa di violenza.

Bisogna tenere inoltre conto che si può essere violenti anche con la parola; in questo caso anche le chiacchiere maligne alle spalle delle persone sono una forma di aggressività. La pratica di Ahimsa rafforza e purifica il cuore ed è considerato il più alto e supremo Dharma. Alcune tradizioni interpretano questo precetto ammettendo che, in alcuni casi, l’uso della violenza può essere necessario per il conseguimento della pace. Altri maestri, come ad esempio Krishnamurti, affermano che lo scopo non può mai essere separato dal mezzo con il quale si intende ottenerlo e che quindi è assurdo pensare che l’uso dell’aggressività possa avere degli aspetti positivi. Il personaggio storico più famoso che ha fatto della non violenza la sua bandiera è stato certamente il Mahatma Ghandi. In ogni caso, potete percepire la complessità di questo precetto perché non è possibile essere completamente estranei a ogni atto di violenza. Quando mangiamo, anche se vegetariani, ci cibiamo pur sempre di esseri viventi, quando respiriamo o quando camminiamo, anche se involontariamente, uccidiamo esseri viventi.

Per praticare questa yama durante l’esecuzione di Asana si pone l’attenzione a non forzare eccessivamente il vostro corpo oltre le sue possibilità.

Satya

La sincerità. La verità purifica la mente oscurata dalla falsità. Anche per questo precetto possono nascere dei problemi. Ad esempio: a volte essere sinceri può comportare un certo tasso di violenza. Quindi come nel caso della non violenza, non possiamo che fare leva sulla capacità di discernimento che non deriva dal pensiero e dalla mente, ma dal silenzio e dalla meditazione ed è in grado in ogni momento di farci percepire ciò che è giusto o meno fare. L’aspetto fondamentale di questo precetto riguarda però la sincerità con se stessi. L’auto inganno è frequente e subdolo e ci allontana più d’ogni altra cosa dalla verità.

Per praticare satya siate onesti e sinceri con voi stessi riguardo ai vostri limiti e capacità.

Bramacharia

Con Brahmacharia si intende normalmente la pratica della castità. Letteralmente, il significato della parola è rivolgere le proprie risorse energetiche verso Brahman, ovvero il divino. La castità o la continenza insegna a utilizzare l’energia sessuale come forza di guarigione e forza spirituale. Anche in questo caso, ci sono diverse interpretazioni dello stesso concetto.

Alcune tradizioni sono per una interpretazione stretta, suggerendo ai propri studenti di astenersi dal sesso attraverso la disciplina. Altre affermano che fino a quando esiste il desiderio, questo non può essere represso e che la vita casta deve essere eventualmente una conquista naturale. Altre ancora rileggono il precetto non tanto come divieto, ma nel senso del non attaccamento al sesso, del non vivere schiavi del desiderio e di non farne il fulcro della propria vita.

Per la pratica rivolgete i vostri sforzi durante la pratica come offerta all’universo e non per saziare il vostro ego.

Asteya

Significa astenersi dall’impossessarsi di ciò che non ci appartiene. La pratica del non rubare brucia l’infelicità e il risentimento che nasce quando ci si appropria di qualcosa che non ci appartiene. Questo precetto va visto non solo nella sua ovvia accezione materialistica, ma anche in quella più sottile che riguarda il non abusare del tempo e dell’energia delle altre persone e della loro disponibilità e benevolenza.

In pratica: rispettare il tempo e l’energia delle persone che vi circondano.

Aparigraha

Il significato impone al praticante di non accumulare beni. Il non accumulo tiene libera la mente da ogni eccesso e dagli attaccamenti che derivano dal possesso. Ogni cosa che possediamo può essere una distrazione dalla pratica, il possesso è vissuto come un fardello. Inoltre, è risaputo che vivere nell’agio e nel lusso aumenta la pigrizia e l’adagiarsi, situazione che costituisce un problema. In questo caso, alcune tradizioni non mettono l’accento sul possedere o meno cose ma sul fatto di riuscire a mantenersi distaccati da esse. Quindi non è importante cosa si ha, ma quanto essere pronti in ogni istante a perdere tutto, senza che questo causi il ben che minimo disturbo e fastidio.

Nella pratica ogni giorno è diverso dal precedente. Non pensate quindi di aver conseguito nulla e allo stesso tempo agite come se tutto fosse possibile.

(articolo pubblicato sul n. 20 Maggio 2008 della Rivista Vivere lo Yoga editore Cigra 2003 srl Milano che si ringrazia per la gentile concessione)