Meditare è una parola plurale

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Meditare è una parola plurale

sintesi di Valentina Claudi

Stefano Ventura e Massimo Paradiso sono gli autori dell’articolo “Meditare è una parola plurale” pubblicato sul n. 140 di febbraio 2020 della rivista Yoga Journal.

Gli autori ci introducono al concetto di Sangha (dal sanscrito “sam”: insieme, “han”: entrare in contatto). La sua origine risale a 2500 anni fa, ai tempi in cui visse il Buddha; all’epoca si trattava di una comunità politica di monache e monaci. Da quando la dottrina buddhista è arrivata in occidente, il sangha è diventato un gruppo di persone che condividono un percorso di liberazione e di ricerca, ispirato agli insegnamenti buddhisti.

Tra i partecipanti di un sangha, incontro dopo incontro, si crea una relazione sempre più forte, che permette ai singoli di lasciare andare il proprio egocentrismo, aprendosi agli altri e concedendosi la libertà di essere se stessi.

Il sangha acquista nel tempo una dimensione plurale, dal momento che un gruppo di persone lavora per promuovere il benessere dei suoi membri. E’ indispensabile che questo lavoro sia ispirato all’etica, e che ci sia un ascolto consapevole degli altri, concedendo al compagno al nostro fianco di diventare il nostro maestro grazie alle sue opinioni o al rumore che fa, attraverso i quali ci invita costantemente a confrontarci con i nostri pregiudizi e con la nostra impazienza.

La collaborazione ci insegna l’arte gentile dell’accettazione e del fare pace.

Ci sono alcuni importanti fattori che mantengono vivo il clima di un sangha:

– la collaborazione di tutti i membri ad organizzare o guidare gli incontri

– qualsiasi persona è benvenuta

– ascolto consapevole e non giudicante che incoraggia a stare nel “qui ed ora”

– regole semplici per gestire il tempo degli interventi, mediante la scelta di un facilitatore.