Maya, oltre le apparenze

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Maya, oltre le apparenze

sintesi di Iolanda Taranto

Sul n° 13 della rivista Yoga Journal – Gennaio 2008 – è stato pubblicato un articolo di Marilia Albanese, nel quale l’autrice si sofferma sull’antico concetto di Maya, rivisitandolo in chiave moderna.

Nel periodo più antico della civiltà indiana tale termine non aveva un’accezione del tutto negativa; indicava la capacità degli dei di manifestarsi in forme diverse ma, così facendo, confondevano gli uomini. Dal punto di vista etimologico si può risalire al verbo “misurare” e, quindi, all’idea di come il mondo venga rappresentato: tramite la misura di tempo e di spazio.

Ogni corrente filosofica o religiosa, scrive la studiosa, mira ad affrancare gli esseri umani dalla sofferenza esistenziale che nasce dall’ignoranza, avidya, dalla mancanza di una vera conoscenza.

Nel quotidiano essa scaturisce dalla falsa percezione della realtà. L’essere umano tende a creare una propria rappresentazione del reale in base ai suoi bisogni, ai suoi obiettivi, ai suoi desideri.

Ciò che egli percepisce è Maya, cioè illusione, relatività.

Tale antica concezione si avvicina alla moderna teoria occidentale della “deformazione delle informazioni recepite”, secondo cui tutte le informazioni, dopo essere state filtrate dai sensi, raggiungono il Sistema Nervoso Centrale che, anche per impedire un inutile sovraccarico, ne seleziona e trattiene solo alcune, generalizzandole e distorcendole in base al proprio vissuto e alla propria cultura.

Nel tentativo di controllare la realtà, l’uomo se ne allontana e soffre perché non è come egli vorrebbe.

Nasce quindi la necessità, per pacificare la mente, di recuperare la realtà vera.

Se l’uomo si ferma alle forme esteriori, all’apparenza, ritenendola la realtà ultima, cade nell’errore, nella falsa conoscenza.

Per noi uomini e donne occidentali dell’epoca moderna, Maya è come interpretare ruoli sociali non sentiti, seguire modelli, aggrapparci a schemi di comportamento malsani. E’ il rifiuto di guardare dentro noi stessi e di accettarci serenamente. E’ l’incapacitàdi ascoltare, di accogliere gli altri senza pregiudizi.

Oggi, conclude l’autrice riprendendo l’espressione schopenhaueriana, squarciare il velo di Maya è assumersi la responsabilità di essere ciò che siamo.