Lo Yoga oltre gli asana

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Lo Yoga oltre gli asana

Sintesi di Anna Orsini

Deborah Gheller è l’autrice dell’articolo “Lo yoga oltre gli asana”, pubblicato sul n. 103 di  Dicembre 2022/Gennaio 2023 della rivista Vivere lo yoga.

Per molti praticanti di yoga diventare insegnanti di questa disciplina può apparire una sorte di logica conseguenza. Fra godersi una lezione ed erogarla c’è comunque un abisso. Ci sono moltissimi corsi di formazione che, con un minimo di 200 ore di frequenza, forniscono un titolo da esibire come nuovo istruttore.

Cosa si può imparare in così poco tempo? Ci vogliono mesi e anni per trovare la propria personalità, la propria voce.

Non esiste un modello unico di insegnante altrimenti i praticanti non avrebbero alternative e si perderebbe l’unicità di rapporto che spesso viene ricercata.

Patanjali non parte dal respiro, né dal movimento, né da alti stadi di consapevolezza, ma da come un praticante dovrebbe comportarsi.

Il primo passo che gli insegnanti dovrebbero compiere, e poi cercare di trasmettere come principio, è verso la non violenza. (Per esempio, sul tappetino, entra spesso in gioco lo spirito di competizione che, onde superare i nostri limiti e primeggiare, fa si che ci si violenti). E’ un atteggiamento che un buon insegnante deve scoraggiare.

Il secondo passo è la verità. Ogni corpo ha la sua anatomia e i suoi limiti. Occorre imparare a riconoscerli e accettare senza illusioni e senza spingerci oltre i nostri limiti.

Il terzo passo è l’onestà. L’insegnante deve provare a destrutturare quello schema mentale dettato dall’Ego che ci spinge a “dimostrare” di essere sempre energici, infaticabilied equilibrati.

Bisogna essere onesti nel riconoscere che spesso bramiamo qualcosa che in quel momento non ci appartiene e ci suscita gelosia e invidia.

Il quarto passo è il riconoscimento di una volontà interiore che non è bramosa di risultati, ma vive ogni azione come un atto sacro (quindi anche gli asana). Quella volontà che è libera, che nasce dal non possesso, ci dà la capacità di andare oltre gli schemi che ci intrappolano. Staccarsi dal desiderio riporta l’attenzione verso ciò che già abbiamo.

Per ottemperare a questi precetti (yama) ogni praticante dovrebbe alimentare alcuni atteggiamenti (Niyama) difficili da trasmettere in lezioni da un’ora. Parliamo di purificazione, contentezza, austerità, conoscenza di sé e abbandono al divino.

Queste sono le regole del “fare”. Applicando i concetti di non violenza e verità, consci dei nostri limiti, potremmo stimolare scelte maggiormente consapevoli su una pratica costante e determinata.

Se applicheremo tutto ciò che apprendiamo dai principi etici, si svilupperà una maggiore chiarezza sulla percezione della nostra interiorità. Potremo vivere l’ultimo niyama, la conoscenza di sé. “Abbandonarsi al divino” di questi tempi appare arduo. Molte persone si ritengono poco spirituali, non credono in “qualcosa” di più grande.

In realtà non si tratta di credere in una divinità, ma piuttosto nel riconoscere che esiste una energia che è presente in ognuno di noi e in tutto ciò che ci circonda. Che siamo tutti collegati al tutto.

Fa parte dell’essere un insegnante vivere questi principi e imparare a trasmetterli.