Lo Yoga del Kashmir

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Lo Yoga del Kashmir

sintesi di Luisa Bafile

Questa sintesi è tratta da una serie di articoli apparsi sulla rivista francese “3éme Millenaire”, tradotti dalla dott.ssa Scalabrini e pubblicati sul sito web www.sviluppocoscienza.it.

La serie di articoli riportano ampi brani di un’intervista a Eric Baret, maestro di Yoga Tantrico del Kashmir.

Baret è stato allievo privato per quasi trent’anni di Jean Klein, maestro di Vedânta e guida lungo la via della non-dualità. (Il «non-dualismo» è la posizione dottrinale che comporta una concezione «non-duale» della Realtà e comprende tre diversi orientamenti di pensiero, i quali hanno in comune la convinzione che non sussista dualità fra il principio che costituisce il fondamento dell’universo (Bráhman) e il principio cosciente della persona (âtman).

Lo yoga di cui parla Baret è il percorso di una vita, non può essere trasmesso nelle lezioni, deve nascere come desiderio nel profondo del cuore e richiede una totale dedizione.

“Lo yoga non ha niente a che fare con i movimenti del corpo. Se non si ha il desiderio la passione assoluta, l’ossessione assoluta di questa pratica, vuol dire che non si è pronti e che, in assoluto, non si merita di imparare questa arte. Per questo, tradizionalmente quando si vuol apprendere lo yoga, in Oriente, il maestro generalmente vi suggerisce di andare altrove. Se ritornate poi dopo molti rifiuti, in un modo o in un altro, allora l’insegnamento comincia.”

Nello yoga classico -dice Baret- il percorso è motivato dalla ricerca di un arricchimento, di un’evoluzione spirituale. Nello yoga del Kashmir, invece, ci si considera già ricchi e ogni azione è la manifestazione di questa ricchezza, perciò lo scopo è lasciar cadere tutte le nostre proiezioni e aspirazioni finché non resta che la vita, la gioia.

Lo yoga porta alla scoperta sensoriale, aiuta a esplorare e approfondire la sensibilità che si presenta naturalmente nei momenti di tranquillità. Non è un esplorare allo scopo di accumulare, ma uno stato di ammirazione delle possibilità sensoriali che a poco a poco lascia il posto a un’ammirazione senza oggetto.

All’inizio del percorso yoga è necessario divenire coscienti del fatto che la sensibilità è poco presente nella nostra vita, governata invece da una costante attività mentale. Si vive piuttosto nel pensiero, credendo che ciò che accade dovrebbe essere diverso da quello che è. Voler sfuggire alla realtà, a noi stessi, significa essere destinati alla solitudine, alla separazione, al dolore..

“Vi suggerirei di divenire cosciente del fatto che non sentite, del fatto che la sensibilità è poco presente nella vostra vita condotta da una costante attività mentale. Diventate cosciente che pensate la vostra vita. Quando entrate nella vostra stanza, non sentite la vostra stanza: la pensate. Quando appendete i vostri vestiti, non li sentite. Forse conoscete il colore, i prezzo, lo stile, ma non lo sentite veramente, e non siete generalmente capaci di dire che scarpe portate ai piedi se non le guardate.”

Ma l’attenzione alla sensibilità è soltanto una tappa, non va sviluppata ma lasciata morire, perché quando ogni percezione muore nel cuore c’è tranquillità. Questo è il senso della pratica. Quando smetto umilmente di pretendere di sapere o di comprendere intellettualmente, allora mi apro al sentire. Quando sento, non so niente, vivo il presente.
Ma per sentire bisogna essere silenziosi, e se si comprende questo, si capisce anche che l’ascolto è lo scopo stesso.

Un’altra grande passione di Baret sono le arti marziali che ha praticato a lungo. Dice che sono vicine allo yoga, in quanto il loro obiettivo è quello di stimolare la capacità di affrontare una situazione senza commento psicologico, senza residuo affettivo. Il corpo allora reagirà in modo chiaro e lucido, secondo le sue capacità. E’ un non-stato, un essere al di là di tutti i nostri stati percepiti, un presentimento del silenzio. Questa condizione è alla base di tutte le arti e di tutte le espressioni: il presentimento, costantemente presente, del silenzio.

“L’evidenza di un movimento di yoga, di una posizione in un’arte marziale o di un gesto di danza necessita, per il suo compimento luminoso, una totale assenza d’intenzione. Nessun andare, niente posto per un compimento personale, unicamente la celebrazione di ciò che è.”

“Volontà vorrebbe dire intenzione, pensare che un movimento porta a qualcosa, lo Yoga non porta a niente. E’ per questo che è un’arte, l’arte è gratuita, è quella la sua essenza. La pratica è fatta per la gioia di celebrare la vita. Non può esserci nessuna volontà là dentro. Senza attesa né domanda si esprime la gioia di vivere. Il corpo conosce il movimento giusto. In verità, non c’è mai volontà anche se decidete di alzare un braccio, si potrebbe scientificamente provare che il movimento psicologico di sollevare il braccio è cominciato qualche millesimo di secondo prima della vostra decisione. Ma l’ego con la sua immaginazione malata di voler dirigere, non ha questa sensibilità e immagina di decidere”.

Il comando dell’insegnante “non dovete applicarlo alla lettera, ma ascoltarlo: esso crea in voi una forma di risonanza che s’impone. Ognuno nella sala lo esprimerà con un movimento adatto alla sua sensibilità del momento. E un lavoro interiore. Voi non seguite nessun altro che il vostro ascolto. Nel vostro silenzio d’intenzione, il corpo parla, si muove. Voi siete totalmente all’ascolto di questo fuoco d’artificio. Più la vostra passività è grande, più la ricchezza tattile sta diventando immensa. Ma più c’è intenzione, più la sensazione è frenata da questa attesa.”

“Nella nostra società, le tendenze allo sforzo e al lavoro personale sono sempre più valorizzate. La scuola condivide questa responsabilità con le istituzioni politiche e l’immaginario familiare. Tutti partecipano a questa disinformazione evidente della realtà. Si insegna ai bambini a diventare, a vincere, a realizzarsi, si valorizza lo sforzo personale. I giochi olimpici, o l’arte di sfruttare, per ragioni nazionalistiche, fino alla distruzione discreta ma certa della corporeità degli atleti, sono un meraviglioso simbolo di questa tendenza.

Una società equilibrata non metterebbe l’accento su quello che il bambino dovrebbe essere o dovrebbe diventare, ma su quello che è. Sarebbe all’ascolto delle sue capacità e non di quelle che dovrebbe avere. Da questo ascolto deriverebbe una educazione funzionale. Per precise ragioni, le nostre società hanno bisogno di creare delle masse facilmente manipolabili. Esse non possono sicuramente sopportare l’idea di un ascolto interiore, funzionale, che creerebbe esseri liberi da un orientamento, pronti ad ascoltare veramente le situazioni e ad agire nella direzione della realtà e non in una direzione ideologica.

Tutte queste nozioni di sforzo, d’intenzione, sono le tristi caricature del nostro mondo moderno. E’ verosimile che nei decenni a venire, per delle ragioni di mercato, questo movimento che mette l’uomo al centro della vita e non la vita al centro dell’uomo, come insegna la scienza sacra, sarà sempre più sviluppato attraverso la medicina, la biologia, la psicologia e le altre espressioni del mondo.”.