La prigionia dei ruoli

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La prigionia dei ruoli

sintesi di Anna Orsini

La rivista mensile “Yoga Journal” ha pubblicato, sul n. 2 Febbraio-Marzo 2006, un articolo di Letizia Michelozzi sulla costrizione dei ruoli.

L’articolista afferma che la “maschera che gli attori del teatro latino indossavano durante le rappresentazioni e che designava la parte da essi recitata, veniva chiamata persona”.

Secondo Jung, che da questo contesto ha desunto il suo concetto di persona, è la capacità di ciascun individuo di impersonare ruoli e compiti richiesti dalla società. Tutto ciò va a scapito dell’ombra, che è la parte più oscura dell’Io, quella da tenere celata agli occhi del mondo. Indossare abiti adatti all’occasione, vale a dire assumere ruoli, in famiglia, sul lavoro, nella società, alla lunga, non può non condizionare e imprigionare nel silenzio le istanze più vere e profonde dell’Io.

In questo modo, la tensione derivante fra l’essere e l’apparire crea nevrosi.

Il ruolo più classico e vincolante, quello della mamma, se non accompagnato dalla consapevolezza e spinta verso interessi multi direzionali, può condurre alla depressione.

Giulio Cesare Giacobbe, psicologo e cattedratico, indica nel ridere di sé e delle proprie maschere una via verso il rilassamento e la serenità. L’ideale sarebbe non identificarsi con i ruoli che recitiamo, ma ove non fosse possibile, è di fondamentale importanza convincersi dell’impossibilità di pretendere da noi stessi più di quello che possiamo dare.