La Neuroscienza della presenza

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La Neuroscienza della presenza

sintesi di Luisa Bafile

Ann Swanson è l’autrice dell’articolo “La neuroscienza della presenza” pubblicato sul n. 142 di maggio 2020 della rivista Yoga Journal.

Il progresso evolutivo nel regno animale ha portato agli esseri umani la capacità di osservare il passato e di progettare il futuro. A queste capacità della mente si associano emozioni che si riferiscono al passato (come il rimpianto) o al futuro (come l’ansia e la preoccupazione). Quasi la metà delle ore di veglia sono passate a vagare con la mente, persi nei propri pensieri, nell’incapacità di sostare nel momento presente. La consapevolezza del momento presente può però essere sviluppata attraverso la meditazione, con evidenti effetti positivi sull’umore e sulle capacità intellettive.

Gli studi scientifici si sono sviluppati in due campi: la neuroplasticità e la neurochimica.

Le moderne tecnologie per l’imaging cerebrale (macchine basate sulla risonanza magnetica funzionale) forniscono scansioni cerebrali molto dettagliate, che consentono di verificare gli effetti a lungo termine della meditazione sulla neuroplasticità, cioè la capacità del cervello di creare nuove connessioni neurali in risposta a nuove esperienze o all’apprendimento.

Sono state studiate due aree del cervello: la corteccia cerebrale pre-frontale, che riguarda le abilità cognitive, la concentrazione e la memoria di lavoro, e il sistema limbico: responsabile del comportamento, delle emozioni e dell’istinto di sopravvivenza.

Le immagini di un cervello non stimolato, mostrano un tessuto cerebrale poco ramificato, costituito da una rete neuronale con maglie lente e spesse, al contrario di ciò che mostra l’immagine di un cervello stimolato, dove il tessuto neuronale appare come una fitta rete di sottili ramificazioni.

Nel primo caso, alle immagini anatomiche corrisponde una riduzione del tessuto cerebrale e un declino funzionale rispetto alle capacità cognitive e alla memoria. Nel secondo caso, la materia grigia è ben sviluppata nella corteccia pre-frontale e si accompagna alla capacità di concentrazione, di soluzione dei problemi, di regolazione delle emozioni.

La meditazione, la pratica degli asana e il pranayama, costituiscono uno stimolo per il cervello e ne rallentano il declino funzionale. Meditare abitualmente anche solo dieci minuti al giorno rallenta la riduzione naturale del tessuto cerebrale.

La ricercatrice Sara Lazar, di Harward, ha scoperto che meditatori abituali dell’età di 40-50 anni presentano strutture cerebrali simili a quelle di non-meditatori dell’età di 20-30 anni: la materia grigia nella corteccia pre-frontale appare più spessa che nei soggetti della stessa età non-meditatori.

Gli effetti della meditazione sono rilevabili anche sulla neuroplasticità del sistema limbico, una complessa rete cerebrale molto più antica della corteccia. Si osservano a livello anatomico modificazioni a carico dell’ippocampo (che si ispessisce, migliorando le capacità mnemoniche) e dell’amigdala (che riduce la sua attività modificando la reattività della risposta alla paura).

Dal punto di vista neurochimico, si è osservato che la meditazione modifica le quantità circolanti di molte sostanze chimiche naturalmente prodotte dal cervello, in alcuni casi aumentandole e in altri diminuendole, anche in questo caso con effetti benefici.

La meditazione aumenta:

  • il livello di serotonina (regolatore dell’umore, del sonno, dell’appetito, del comportamento sociale, ecc.)

iI livello di GABA  (sostanza che contrasta l’ansia e i sintomi dello stress, facilitando il rilassamento)

  • il livello del fattore neurotrofico cerebrale (responsabile della salute dei neuroni e della neuroplasticità)
  • la presenza di onde cerebrali ALFA (associate agli stati di rilassamento)

La meditazione diminuisce:

  • il livello di cortisolo (ormone prodotto in condizioni di stress e nocivo in caso di aumento prolungato o cronico)
  • il livello di norepinefrina (ormone dello stress)

La meditazione agisce inoltre equilibrando il rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore che il cervello libera quando fa esperienze gradite. La sua disfunzione è legata all’instaurarsi delle dipendenze.  Alcune di queste sostanze vengono sintetizzate dall’industria farmaceutica e diventano medicinali, sempre più diffusi ma con inevitabili effetti collaterali. Si potrebbe dunque considerare la meditazione come una forma “naturale” di terapia complementare.