La Morte – Chiamala Libertà

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La Morte – Chiamala Libertà

sintesi di Anna Orsini

Fulvio Chimenti affronta il tema della morte come foriero di paura. L’articolo è stato pubblicato sul n. 100 – Febbraio 2016 – della rivista Yoga Journal.

L’articolista afferma che l’intera vita è segnata una paura: morire. Sentiamo il corpo trasformarsi giorno dopo giorno e l’avvicinarci sempre più al momento che più temiamo. Questo sentimento genera, spesso e addirittura, una diffidenza verso il corpo come fosse un corpo estraneo al cielo della vita.

Dal colloquio avuto con il maestro Swami Joy Himayananda abbiamo raccolto molti spunti interessanti di riflessione.

Nella storia induista, l’anima dovrà passare attraverso il giudizio di Yoga deva, la divinità preposta al controllo e al trapasso da un mondo all’altro per dare degna la libertà al veicolo che ci ha accompagnato tutta la vita.

Come può conciliarsi questa cultura con l’atavica paura occidentale verso la morte del corpo?

L’anima, in sé, è pura e non può agire e,tuttavia, è collegata ai sensi, ai cinque organi motori e alla mente.Attraverso questi strumenti l’anima vive, sente, conosce, è influenzata dal corpo e, a sua volta, lo influenza.

Dal punto di vista fisiologico, la morte è considerata come un arresto dell’attività cardiaca, cerebrale o polmonare; nella cultura Vedica esistono decine di parole per definire la “morte”,esse nascono in base alla qualità con cui l’anima lascia il corpo.

Se la qualità è pesante (tamasica) l’anima raggiunge una cattiva destinazione. Se è normale o superiore la destinazione sarà decente, se è “leggera” non si parla più di morte bensì di libertà,(liberazione dal ciclo di vita, morte e rinascita – samsara).

L’anima si distacca volentieri dal corpo per raggiungere l’Eterno assoluto (Affrancamento-Moksha).

Se si segue e si rispetta il flusso della vita, secondo il Dharma, non arriveremo impreparati al momento del distacco e non avremo paura. Lasceremo il nostro corpo con volontà e pace. Se vivremo bene, in modo sano, saggio e gioioso, rinasceremo nel bene. Il dolore e la malattia, duri da sopportare, fanno a volte parte della vita; dobbiamo convincerci che possiamo restare coscienti fino alla fine perché la morte senza coscienza significa dirigersi verso il buio. La prossima vita sarà determinata dai pensieri e dai sentimenti che ci hanno accompagnato fino alla fine.

Dopo la morte tamasica l’anima rimane vicino al mondo fisico, vaga come un fantasma inquieto; dopo quella rajasica, senza paura, continua a vivere nella terra con un corpo energetico e cerca di incarnarsi nuovamente in modo sano; dopo quella sattvica, pura, si dirige nel mondo astrale e circola libera, finché non viene chiamata ad incarnarsi nel corpo di un santo, un saggio, un maestro, in aiuto al mondo.

Se si riceve una buona educazione ci prepariamo alla morte sin da bambini. Saremo consapevoli che la sofferenza e la morte fanno parte della vita, in armonia, addirittura necessari, al suo splendore. Una vita spesa nella semplicità, nel bene e nella gioia ci porterà tranquilli al giudizio di Yamadeva, che simboleggia la coscienza pura dell’individuo dopo la morte, e passeremo indenni il giudizio che proviene da noi stessi.