Indurre l’attenzione

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Indurre l’attenzione

sintesi di Luisa Bafile

Sulla rivista “Yoga Journal” – n. 45 di Luglio-Agosto 2010 – Gianni Da Re Lombardi ha affrontato  gli “yoga-sutra” di Patanjali. L’autore dell’articolo afferma che secondo Patanjali “il flusso ininterrotto della mente verso l’oggetto scelto per la meditazione è dhyana, contemplazione.”. Lo stadio che precede, dharana, è concentrazione dell’attenzione su un singolo oggetto.
La capacità di mantenere “volontariamente”per un certoperiodo di tempo l’attenzione sull’oggetto senza distrazioni – dhyana, appunto – si acquista e si accresce con la pratica meditativa: può durare pochi secondi per un principiante, quindici-trenta minuti per un praticante intermedio, mentre un praticante avanzato può mantenere lo stato meditativo a volontà.
Lo stato di meditazione può essere raggiunto anche spontaneamente, anzi in maniera inconsapevole. Ciò accade quando si riesce a concentrarsi su un’attività che piace e che coinvolge totalmente: al cinema o a teatro, così come durante un lavoro che attrae il nostro interesse. In tali casi, la mente si identifica totalmente con ciò che si sta facendo e non c’è spazio per altre sensazioni o percezioni.
Secondo il metodo di Patanjali, la differenza tra concentrazione (dharana) e meditazione (dhyana) sta nel fatto che la prima può essere intermittente e fluttuante, la seconda no. Inoltre, durante la pratica di concentrazione e nella prima fase di meditazione, oltre alla consapevolezza dell’oggetto, rimane ancora la consapevolezza del proprio corpo e quella del mondo esterno. Nello stato meditativo vero e proprio si diventa consapevoli solo dell’oggetto di meditazione. Tale oggetto può essere:

  • recitare un mantra
  • porre l’attenzione sul proprio respiro
  • percepire tutti i rumori esterni
  • osservare il passaggio dei pensieri come se appartenessero a qualcun altro
  • visualizzare un’immagine sacra o simbolica

Lo yoga è un sentiero che insegna a raggiungere lo stato meditativo volontariamente e con sempre maggior facilità.
Anche se hanno un certo rilievo le doti personali dovute alla propria conformazione mentale, imparare a meditare è essenzialmente una questione di pratica. Significa imparare a indurre la mente nella condizione adatta a raggiungere lo stato meditativo, partendo dalla concentrazione.
La pratica di asana e pranayama ha valore propedeutico, finalizzata al raggiungimento e al mantenimento della posizione seduta, comoda e stabile, tale da non disturbare la mente. E’ necessario, dunque, raggiungere una buona flessibilità ed elasticità dei muscoli posteriori delle gambe per poter mantenere una posizione seduta corretta, con la schiena eretta e la colonna vertebrale che riesce a mantenere la curvatura naturale.
Una pratica molto efficace è trakata: eseguita alcuni minuti al giorno per settimane o mesi facilita la capacità di entrare in meditazione e di mantenere questo stato sempre più a lungo.
(Trakata significa “guardare fisso” e si pratica guardando stabilmente un punto o un oggetto senza battere le palpebre. E’ un metodo di focalizzazione dello sguardo, e della mente, su un unico oggetto ad esclusione di tutti gli altri. L’esecuzione regolare di questa concentrazione dello sguardo, oltre a essere una delle pratiche di purificazione, sviluppa le facoltà di attenzione e di concentrazione, consolida la forza di volontà ed è usata come forma di elevazione spirituale in diversi sistemi religiosi.)
Per imparare la pratica meditativa può essere utile seguire alcuni consigli pratici:

  • trovare almeno dieci minuti la mattina, appena alzati, e altrettanti la sera, al rientro dal lavoro o  prima di coricarsi;
  • usare un contaminuti per stabilire la durata della pratica: è un piccolo trucco per eliminare l’ansia che a volte disturba i principianti. Come sapere quanto tempo è passato?
  • utilizzare i tempi di attesa durante la giornata per esercitarsi alla concentrazione e alla meditazione. Aspettando l’ascensore, ad esempio, ci si può concentrare sul pulsante di chiamata, visualizzando l’azione di premerlo quando sarà libero; oppure quando squilla il telefono si può concentrarsi sulla suoneria per alcuni squilli prima di rispondere;
  • praticare asana per venti-trenta minuti e rilassamento per cinque-dieci prima della meditazione, almeno tre volte a settimana;
  • evitare di essere disturbati durante la pratica, staccando il telefono ed eliminando altre possibili occasioni di distrazione;
  • aspettare almeno un’ora dopo uno spuntino e due-tre ore dopo un pasto. Per questo è ottimale praticare al mattino, appena svegli , prima della colazione;
  • respirare attraverso le narici, le mandibole socchiuse, le labbra non serrate, la punta della lingua appoggiata al palato alla base degli incisivi superiori. Occhi chiusi, sguardo rivolto verso l’alto senza tensione;
  • se ci si distrae, riportare semplicemente l’attenzione all’oggetto della meditazione;
  • se sorgono pensieri, lasciarli scorrere come fossero nuvole che passano e riportare dolcemente l’attenzione all’oggetto della meditazione.

Durante l’attività quotidiana è possibile praticare una forma di meditazione semplicemente portando la propria consapevolezza ad osservare le proprie azioni, nel momento in cui esse hanno luogo.

Un’osservazione linguistico-culturale. Dalla parola dhyana deriva sia il termine cinese Chan sia quello giapponese Zen, a dimostrazione dell’influsso che la cultura indiana ha avuto su tutto il mondo orientale. Il termine Chan indica la corrente del buddhismo cinese che fece della meditazione il  punto centrale della propria dottrina, così come il termine giapponese Zen dà il nome alla scuola buddhista giapponese che ha ripreso l’analoga scuola cinese. Oggi lo Zen è probabilmente la filosofia buddhista più conosciuta in Occidente e la meditazione Zen è una delle tecniche di meditazione più note.