Armonia e Respiro

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Armonia e Respiro

Entrare in contatto con noi stessi attraverso le tecniche di respirazione

di Teresa Sintoni

Lo studio del Pranayama ci ha fatto senz’altro comprendere quanta differenza ci sia tra il respiro meccanico e fisiologico (quello cioè che avviene spontaneamente nel corpo permettendogli la vita) e la respirazione consapevole e totale. Quest’ultima, infatti, nelle sue infinite sfumature, può essere a buon diritto definita “arte del respiro”.

Per accedere alla pratica e allo studio di quest’arte occorre risvegliare in se stessi una grande sensibilità e possibilità di ascolto. E abbiamo già visto come questa condizione possa essere acquisita primariamente abbandonandosi a uno stato di rilassamento nel corpo, requisito indissolubilmente accompagnato a una dolce calma mentale.

Quando accediamo a questa condizione, viviamo in un grande senso di benessere, ci sentiamo in armonia con noi stessi, riusciamo a vivere il “contatto tra mente e corpo” intuendo la profonda unità che esiste al nostro interno, legante e amalgama di tutte quelle parti che solitamente sentiamo separate.

La ricerca dell’armonia comporta una continua sintonizzazione con il principio di unità che è contenuto in tutto ciò che esiste . Il respiro è lo strumento per vivere sempre di più il contatto tra i molteplici aspetti di noi stessi e della realtà che ci circonda.

Essere in armonia e sentire se stessi parte di un tutto, una nota precisa e in sintonia all’interno di una immensa sinfonia. E’ sentire la propria esistenza determinata da quelle stesse leggi che governano la vita degli universi, vivendo la consonanza e sentendosi inseriti nell’ordine divino. Il respiro non è che il “ritmo” di questa partitura universale e il “movimento” che sta alla base del contatto con il tutto. L’uomo si è allontanato molto dalla coscienza di questa unità intrinseca all’esistenza.

In molte tradizioni antiche si parla di una mitica età dell’oro, in cui gli esseri umani vivevano costantemente in armonia con il tutto, perfettamente in contatto con il divino. Non separati né divisi al loro interno, essi godevano il sereno appagamento del sentirsi in completa unità. All’interno della nostra esistenza odierna non esiste traccia cosciente dell’esperienza dell’armonia totale, del contatto totale. In qualche modo ce lo siamo dimenticati. Tuttavia, a livello del corpo, il ricordo inconscio di questa esperienza esiste e risulta per lo più legato agli albori della nostra esistenza in questa vita. Vale a dire all’esperienza della “vita prenatale”, quel periodo di tempo in cui – ancora individui in formazione – eravamo completamente contenuti in nostra madre. Un momento magico in cui, immersi nel liquido amniotico e cullati da un dolce abbraccio primordiale, abbiamo vissuto, in completa simbiosi con lei, l’esperienza della completezza e del contatto totale.

Questo contatto, allora, avveniva attraverso il ritmo di una respirazione, che – come ovvio – non aveva nulla a che fare con l’inalazione e l’espulsione di aria attraverso il naso e la bocca, ma che si compiva attraverso il cordone ombelicale, in uno scambio continuo tra madre e figlio. Probabilmente il grembo di nostra madre, quando eravamo contenuti in lei, è la reminiscenza più dolce cui possiamo attingere. Forse non esiste nulla di più caldo e rassicurante per un individuo, anche se in realtà non si presenta come ricordo cosciente.

Dal punto di vista del linguaggio analogico del corpo, il “movimento” di questa prima forma di respirazione si può riprodurre con il ventre, imitando attraverso una tecnica il movimento del bambino che risucchia il nutrimento e spinge all’esterno le scorie attraverso il cordone ombelicale.

Il ritmo di questa respirazione arcaica ha effetti molto profondi a livello psicofisico e può condurre a uno stato del “sentire” estremamente armonico , caldo, dolce e protettivo. Una semplice respirazione, dunque, che riproduce lo stato più armonioso della nostra esperienza vissuta;che ci riporta alla semplice esperienza dell’unità, dell’amore espresso in una interezza che ancora non contempla la condizione della separazione. Una condizione più vera, insomma, al di là di quella sofferenza che abbiamo patito in seguito, una volta divenuti parte integrante di quel samsara a cui diamo tanta valenza di realtà.

Poniamoci, dunque, ora, nella condizione di sperimentare questa possibilità. Lo faremo attraverso una tecnica che chiamiamo “respirazione prenatale”. Sedetevi innanzitutto sui talloni, poi portate la fronte a terra,distendendo le braccia al suolo a lato delle gambe. Cercate di respirare con l’addome in modo naturale: sentirete che – fisiologicamente – durante l’inspirazione il ventre si gonfia premendo sulle gambe, mentre, durante l’espirazione, si contrae, rientrando verso l’interno.

Seguite il movimento della respirazione addominale per venti respirazioni complete, quindi, sollevate il busto, mantenendovi seduti sui talloni, con la colonna vertebrale ben dritta e il ventre rilassato. Portate ora attenzione al basso ventre, sotto l’ombelico; cercate cioè di mantenere costante la percezione di questa parte del corpo. E’ importante che, respirando, non coinvolgiate la parte alta del busto, sollevando il torace; mantenete invece con attenzione il movimento del respiro nel ventre. Cercherete ora di invertire il movimento naturale del respiro addominale: inspirando rientrerete il ventre dal basso, spingendo i visceri in dentro e un po’ verso l’alto; durante l’espirazione, poi, rilascerete gradualmente la contrazione fino a far fuoriuscire il ventre, spingendolo leggermente verso il basso. Pensate a un movimento simile a un onda che prende forma nell’inspirazione e che si rifrange nell’espirazione. Entrate nella qualità “acquatica” di questo movimento con fluidità e continuità. Non badate alla parte alta del corpo, pensate al respiro come a un liquido che entra ed esce attraverso la pancia. Lasciate che la sensazione dell’acqua vi pervada, esattamente come se foste seduti nell’acqua fino alla vita. Abbandonatevi alla sensazione di dolce tepore che si sviluppa nel ventre, ed espandete sempre più la sensazione del ventre che si contrae, portando all’interno, e che si espande, lasciando fuoriuscire all’esterno. Lasciatevi assorbire completamente dalle sensazioni, esattamente come se tutta la vostra espressione, il vostro scambio-contatto con l’esterno, si riassumesse in quel movimento fluido e caldo, trovandovi totalmente coinvolti nel piacere del contatto. Continuate a praticare la “respirazione prenatale” tutto il tempo che volete, quindi tornate a un respiro spontaneo e naturale.

Dopo aver abbandonato la tecnica, rimanete seduti immobili per qualche minuto. Mantenendo vivo l’ascolto, fate in modo che il vostro sentire non diventi superficiale, distaccandosi da una percezione più profonda di voi stessi.

Come dopo ogni tecnica respiratoria, potrebbe manifestarsi l’accesso spontaneo a una condizione di maggior concentrazione, anticamera a uno stato di meditazione. Se così avvenisse, lasciate che si produca questo spazio, restando ancorati a quella percezione così dolce e unitaria, senza tuttavia trasformarla in concetti mentali. State semplicemente in ascolto, e lasciate che il ricordo profondo dello stato di unità sperimentato vi avvolga in un abbraccio caldo, vivido e consapevole. Buona pratica.

(articolo pubblicato sul n. 18 Gennaio 2008 della Rivista Vivere lo Yoga editore Cigra 2003 srl Milano che si ringrazia per la gentile concessione)