I Tranquillanti

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I Tranquillanti

Paura della sofferenza o coraggio di vivere

di Walter Ferrero e Andrea Terlizzi

Abbiamo fatto cenno allo stretto rapporto che esiste tra la vita di tutti i giorni e la ricerca interiore. Non sono due cose separate, due “mondi” distanti e in contrapposizione. Anzi, la vita è esattamente il campo esperienziale della ricerca interiore. Da anni, invece, osserviamo un atteggiamento di separazione,dove da un lato si vive la quotidianità e, dall’altro, si “ritagliano” piccoli spazi protetti – flebili oasi tranquillizzanti – in cui sviluppare la “pratica”.

Ma non è forse una contraddizione in termini? Cosa c’è di pratico nel rinchiudersi in un luogo (e un tempo) determinati, lasciando accuratamente fuori tutto il resto? Certo, si può vivere una pausa rigenerante, ma se questa rigenerazione viene tenuta fuori dalla vita, allora assomiglia decisamente a una fuga.

D’altronde, se esiste una tendenza a fuggire, significa che la nostra condizione normale, così com’è, ci sta un po’ stretta. Non ci appaga del tutto, non ne siamo soddisfatti. Probabilmente, a un livello più o meno cosciente, avvertiamo un’inquietudine che ci fa cercare il modo per arrivare a cogliere il senso della vita che viviamo. Forse avvertiamo la vita come una “gabbia” in cui tutte le nostre aspirazioni rimangono frustrate e inespresse.

Eppure, questa impellenza nel cercare di trascendere, di realizzare, di uscire dalla gabbia, dalla prigione, non pare trovare il modo di enunciarsi. Si desidera una vita più profonda, più libera – soprattutto si desidererebbe davvero “vivere” – ma al tempo stesso si amano le catene della propria gabbia, della non-vita. Si abbelliscono le pareti del recinto sino a renderle dorate, ma non si fa assolutamente nulla – o si fa il meno possibile – per abbatterle e uscire.

Non basta pensarlo, “essere d’accordo”, bisogna proprio alzarsi al mattino e decidere di cambiare, e l’istante dopo deve essere già cambiamento.

Esistono strumenti antichissimi per fare questo, ma questi rimangono del tutto inefficaci fino a che non si manifesta la reale volontà di cambiamento, la determinazione del coraggio di vivere, e …. il rifiuto definitivo dei “tranquillanti”.

Già, i “tranquillanti”, tutto quello cioè che, nella nostra esistenza, ci siamo costruiti per evitare di vedere la realtà. Una forma di psicoterapia di massa: lo shopping, l’abito griffato, il campionato di calcio, la serie televisiva di tendenza, la cultura dell’inutile, la menzogna del malessere combattuto a colpi di farmaci (è un medicinale usare con cautela, per le avvertenze leggere attentamente il foglio illustrativo). Ma anche le piccole menzogne e ipocrisie cui sottostiamo, gli ammortizzatori sociali, le protezioni, le nostre stesse identificazioni… Tutte cose che già migliaia di anni fa, attraverso la trasmissione orale dei Veda, era richiesto che venissero abbandonate da un adepto perché potesse accedere a un insegnamento.

La “gabbia” è proprio questa, è la schiavitù nella quale costantemente ci troviamo. Quando abbiamo il mal di testa e invece di chiederci come mai il nostro corpo duole e quindi renderci conto che- come suggeriva un grande medico della Grecia antica – “abbiamo contravvenuto a qualche legge della natura”, preferiamo ricorrere a un antidolorifico. Il mal di testa è semplicemente un campanello di allarme: abbiamo sicuramente contravvenuto a una legge per arrivare a uno stato di malattia. Basterebbe interrompere l’abitudine a cedere costantemente, cercare di migliorare la nostra condizione e il mal di testa passerebbe.

Invece, pur di non rimanere dieci minuti “svegli”, magari con un feroce mal di testa, ma desti (e quindi per un po’ fuori dalla gabbia, anche faticosamente), preferiamo rientrare nella gabbietta e dormire, perché fondamentalmente il farmaco non cura il nostro vero malessere, la disarmonia, ma la nasconde. Un po’ come se, quando suona una sirena antincendio, la spegnessimo, convinti così di aver risolto il problema del fuoco che sta distruggendo la casa.

Accettando quella porzione di sofferenza, sforzandoci di comprendere le ragioni, potremmo arrivare a scorgere un uscita, ma se passeremmo, invece, da un’identificazione a un’altra, dal possesso di un oggetto al bisogno di un altr , ce ne sarà sempre un altro che desidereremo, in un processo infinito.

La gabbia è la nostra vita così come l’abbiamo costruita, e la paura della sofferenza è la causa principale della nostra malattia. Per stare bene basta fare una vita equilibrata, mangiare bene e fare del movimento fisico, una pratica che si basi su conoscenze sperimentate, profonde, armoniche.

Diciamo allora basta ai “tranquillanti”, e aspiriamo piuttosto a livelli di vita più accettabili, più calmi, più tranquilli. Invece di un confuso agitarci, cerchiamo momenti di silenzio. E allora la gabbia, magicamente si aprirà..

Perché – segreto dei segreti – quella gabbietta dorata non è che un’illusione … priva di lucchetti…

(articolo pubblicato sul n. 18 Gennaio 2008 della Rivista Vivere lo Yoga editore Cigra 2003 srl Milano che si ringrazia per la gentile concessione)