I sette pilastri della Mindfulness

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I sette pilastri della Mindfulness

sintesi di Enrica Maschio

Maria Beatrice Toro è l’autrice dell’articolo “I sette Pilastri della Mindfulness”, pubblicato sul n. 146 (Ottobre 2020) della rivista Yoga Journal.

L’autrice, psicologa, non aveva mai pensato alla possibilità di condurre seminari di meditazione, ritenendone l’insegnamento riservato ai maestri della tradizione cristiana, buddhista e yogica. Ma, agli inizi degli anni 2000, in occasione di un convegno sul tema, per la prima volta si trovò a pensare che anche una praticante laica come lei potesse guidare un gruppo, quando i destinatari fossero stati i suoi pazienti.

Nell’ambito delle indicazioni fornite al convegno, viene indicato come requisito essenziale per trasmettere istruzioni sulla meditazione ad altri, quello di praticare personalmente con regolarità, oppure la terapia non funziona. Ciò è sorprendente, considerato che non sempre l’approccio scientifico tradizionale fa riferimento alle esperienze professionali del clinico: la mindfulness infatti gode di studi che ne evidenziano, fra gli altri, gli effetti neurologici e psicocorporei, come ad esempio la capacità di creare nuove sinapsi. L’autrice tuttavia sposta l’attenzione dall’approccio materialistico descritto per leggere questo incontro con la meditazione su un piano più sottile, spirituale: la chiamata a mettersi in cammino, insieme ai gruppi che avrebbe guidato, all’interno di un cerchio in cui testimoniare in prima persona la natura non gerarchica della meditazione di consapevolezza.

Nel merito, lo stabilirsi di una visione mindful apre progressivamente la strada al manifestarsi di uno stato di presenza mentale al quale in cuor nostro tutti aspiriamo. I sette pilastri su cui si poggia questo stato, i sette doni che porta al praticante sono: l’assenza di giudizio, la pazienza, la mente del principiante, il non cercare risultati, la fiducia, l’accettazione e il lasciar andare.

L’assenza di giudizio è la base della meditazione e di ogni ricerca, a maggior ragione della ricerca della presenza mentale. In questo modo si giunge all’accettazione spassionata di tutto ciò che troviamo in noi. Infatti, se vogliamo realmente conoscere qualcosa dobbiamo avvicinarla e accettarla per come è, solo in questo modo possiamo cambiarla. Così meditando, ci educhiamo a divenire testimoni del presente e, pian piano, a fidarci di noi stessi nella pratica.

A volte poi una mente affollata e un cuore agitato ci forniranno l’occasione per accogliere e quindi lasciar andare ogni emozione e pensiero, senza giudicarci perché non abbiamo raggiunto il vuoto mentale. Ancora una volta, accetteremo la nostra esperienza per come è, senza giudizio. Ogni giudizio restringe inevitabilmente la nostra visione e limita la conoscenza.

Addestriamo la mente a guardare le cose come se fosse la prima volta che le vediamo (la mente del principiante) e forse scopriremo che è proprio così. La prima volta che si fa una cosa la mente è ricettiva, capace di apprendere, non ha paura, non teme gli errori perché sa che sono parte del gioco. E questo conduce alla pazienza, che prevede il rispetto del tempo personale, il tuo tempo.

Pratica: meditazione dei suoni e dei pensieri. Quando un suono colpisce la nostra attenzione seguiamolo con interesse finché non svanisce. Poi ne giunge un altro, poi svanisce. Accogliere i suoni che giungono e svaniscono. Non occorre dar loro un nome, lasciamoli essere, osserviamoli senza eleborarli e lasciamoli andare. Arrivano quando vogliono e se ne vanno, lasciando fra loro, a volte, un preziozo momento di silenzio mentale.