Guarire con la testa

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Guarire con la testa

sintesi di Anna Orsini

Il n. 3 della rivista Yoga + ha pubblicato nel Febbraio-Marzo 2007 un articolo in cui affronta il tema delle cicatrici che permangono nella mente dopo traumi ed esperienze dolorose vissute.

L’articolista afferma che l’unica certezza che l’uomo possiede è che la sua vita è destinata a finire. Il pensiero della morte è il più difficile e, per i più, il più spaventoso con il quale convivere. Attività frenetiche, assunzioni di responsabilità, obblighi e divertimenti, non ci tengono a lungo lontano dal pensiero della morte. Chi ha avuto una grave malattia che ha messo in pericolo la sua vita, anche se la supera e riacquista la salute del corpo, difficilmente riuscirà a guarire la sua mente. I ricordi dell’esperienza dolorosa vissuta potranno, in qualsiasi momento, involontariamente scaturire dalla mente sotto forma di sentimenti negativi, emozioni e tensioni.

Ciò spiana spesso la strada a ricadute, a depressioni, alla perdita di qualità della vita. La medicina occidentale, una volta guarito il corpo, invita a riprendere la vita di prima prodigando consigli, farmaci e rimedi, facendo finta che non sia accaduto nulla e che l’esperienza negativa sia definitivamente alle spalle. Molto raramente ciò è possibile. La mente ricorda e rivive dolori, tensioni e traumi.

Lo yoga è la vera risposta al problema. L’opera di Patanjali e, forse più ancora, quella di Vashista, illustra la strada per contrastare e vincere lo strapotere della mente che, con il suo incessante lavorio, può farci precipitare, in qualsiasi momento, nel panico e nello sconforto.

La strada è quella della meditazione. Negli antichi testi i termini yoga e dhyana (in sanscrito, meditazione) sono spesso sinonimi. Entrare in un nuovo ordine di pensieri che tengano conto delle grandi domande esistenziali sulla nostra identità, sul significato della nostra vita, sui nostri reali obiettivi, sarà il primo passo fondamentale per procedere verso un nuovo modo di concepire e godere la vita.

Saremo liberi dai soliti paurosi fantasmi: vuoto, solitudine, morte. Arriveremo a desiderare di dedicarci uno spazio per il nostro esercizio di meditazione. In quello spazio, nell’immobilità del corpo, nella concentrazione sul respiro, nella ripetizione dei “mantra”, riusciremo a “svuotare” progressivamente la mente dai soliti contenuti e, forse, ad aprire i portali di una nuova realtà, nuove percezioni, nuova coscienza di sé e vera libertà.

Distaccarsi dai propri pensieri e dalle proprie emozioni ci darà subito un gradevole senso di pace. Distacco non significa repressione o oppressione dei sentimenti, ma saper correggere i percorsi che, in preda di quei sentimenti, potremmo intraprendere.