Dal respiro alla concentrazione

You are here: Home / Articoli Yoga / Dal respiro alla concentrazione

Dal respiro alla concentrazione

L’importanza del pranayama per calmare la mente

 di Teresa Sintoni

Abbiamo già abbondantemente esplorato il variegato mondo del pranayama e buona parte delle sue numerose tecniche. Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro perché sia tanto importante e la sua pratica così fondamentale. E’ indubbio – e l’abbiamo più volte sottolineato – che il respiro calmi la mente, diradando altresì i contatti con la nostra parte emotiva (nella quale si affollano molti aggregati meccanici di emozioni, tradotti in parole e concetti, che noi chiamiamo “pensieri”).

Ma questo, benché utile, non basta a spiegare perché gli antichi rishi, dopo lunghi digiuni ed estenuate pratiche ascetiche, abbiano tanto insistito nella sperimentazione fino a sviluppare una vera e propria “scienza del respiro”. Non bastava forse il lavoro sul corpo, il distacco dagli attaccamenti, la conoscenza lucida della mente purificata?

Evidentemente il respiro costituisce un aspetto “a latere” e nasconde un potente segreto che permette di accelerare i processi in grado di portare a ciò che tanto stava a cuore a quegli antichi ricercatori

Il punto sta nel fatto che noi possiamo osservare la nostra individualità nelle sue componenti; e allora possiamo certamente constatare che siamo composti da un corpo fisico, da una sfera emozionale e da un più rarefatto spazio mentale. Tutte queste parti interagiscono e, spesso, confondono tra loro le rispettive sfere d’azione, producendo attriti e perdite di energia. In questo senso, lo Yoga è lo strumento più potente in grado di “mettere ordine” e ricondurre al giusto lavoro ognuna di queste componenti individuali.

Nello stesso modo, se osserviamo il nostro sé individuale inserito nel contesto, ci rendiamo conto che esiste una separazione tra noi e il tutto, una “distanza” tra il soggetto e l’oggetto della conoscenza. E una volta “messo in ordine” il nostro veicolo fisico-emotivo-mentale non possiamo fare a meno di desiderare prima un contatto, poi una vera e propria “fusione” con quel tutto da cui ci sentiamo drammaticamente separati. E questo desiderio è il vero unico e potentissimo motore che ci può condurre allo stato dell’unità.

Ma cos’è questa unità? Un concetto? Un astrazione filosofica? Un idea meravigliosa? Un condizionamento religioso, culturale o psicologico? Oppure si tratta di qualcosa di reale, che trova uno spazio di espressione, un piano di concretizzazione che non è direttamente percepibile dai sensi fisici?

Ebbene, se vale il principio “così in alto, così in basso”, proviamo allora a scendere nel particolare, e osserviamo che cosa unifica tutto il conosciuto. E facciamolo pure dalla prospettiva materiale, visto che è l’approccio più comune della nostra epoca.

Allora? Da cosa è composto ogni oggetto, ogni materia animale, vegetale, minerale; qual è la componente di base delle sfere gassose che circondano il pianeta, o della materia interstellare, delle nubi cosmiche, delle galassie, degli universi conosciuti e ancora da conoscere?

Scendiamo nel piccolo, dunque, fino alla molecola, all’atomo, e via via fino al quark, ai bosoni e quant’altro la scienza abbia finora scoperto…. Al di là delle ipotesi accademiche che cosa rende caratteristica la parte più piccola di materia? Che cosa, minimo denominatore comune, ne permette poi la diversificazione?

E’ la vibrazione, l’energia, quel principio vitale che poi si combina, cambia frequenza e massa, e va a costituire ogni fenomeno esistente, “sottile” e grossolano, che potrà essere più o meno percepito dai nostri sensi, dai raffinatissimi strumenti di rilevazione che l’uomo è stato in grado di concepire. L’energia quel “liquido amniotico” in cui sono immersi tutti gli universi, quell’oceano pulsante, quel “respiro di Dio” che i greci chiamavano “pneuma”, i latini “spiritus” e gli yogi indiani “prana”.

Ecco perché il pranayama: il respiro è così importante perché costituisce il nostro più immediato contatto con l’energia. Noi non siamo fatti solo di carne, emozioni e pensieri, ma anche di energia. E persino quella forza, quella traenza che ci può portare a desiderare di fonderci con il tutto è, fondamentalmente, un processo energetico.

Per riuscire in questa impresa occorre creare un “campo magnetico”, generare uno spazio che possa essere riempito. E ciò possiamo farlo attraverso il respiro.

Il respiro è essenziale perché costituisce il più importante contatto con l’energia.

Respirare è un atto creativo e ci collega con una dimensione che non solo ha che vedere con la nostra esistenza, ma riguarda l’intera essenza di ogni cosa. Il respiro è il trait-d’union con la dimensione oggettiva, un ponte che trascende l’aspetto soggettivo della nostra vita e si collega con ciò che preesiste alla nostra medesima esistenza.

Noi non possiamo prescindere dall’ambiente circostante, non solo dalle cose, dagli oggetti, dagli altri, ma dalla stessa aria che respiriamo. E tutto ciò non è che energia, energia cosmica. Ogni atomo che costituisce l’universo è un centro pulsante di energia. Siamo certo fatti di materia, e anche di pensiero, ma quello che “tiene insieme tutto” è solo e soltanto energia.

E’ come se esistesse un oceano, in cui tutto è contenuto e si esprime secondo la propria frequenza vibratoria, e quest’oceano è una distesa pulsante e infinita di energia. Se un essere, che è un piccolissimo punto preciso di questo mare senza sponde, riesce a entrare in vibrazione e a estendere quest’onda, prima o poi finisce che entra in contatto con la vibrazione di qualcos’altro; proprio come le onde si frangono fra loro, fino a confondersi e divenire un unico flutto, può entrare in contatto con altre energie, entrare in unità con altre esistenze, siano singoli esseri o interi sistemi solari.

E’ questo il segreto degli antichi rishi, la pratica alchemica che trasformava e raffinava i loro veicoli fisici già forgiati dalle pratiche ascetiche e dallo Yoga. E’ questa l’essenza del pranayama. Attraverso il respiro, attraverso l’attivazione dei canali polari di Ida e Pingala (le due principali nadi) è possibile dare concretezza alla formazione di Sushumna, il canale centrale, e con ciò ottenere una maggiore attivazione dal punto di vista energetico e sottile; è possibile raffinare e velocizzare la vibrazione, insomma, in modo da accordarsi sempre più allo stato di armonia che sostiene l’esistenza tutta.

Un armonia alla quale, se cerchiamo davvero il senso profondo della nostra esistenza, dobbiamo necessariamente tornare. Possiamo farlo attraverso un processo che sia sempre meno mentale e più istintuale; più un vuoto che un pieno, insomma, epurato da tutte quelle abitudini meccaniche che avvelenano la nostra vita.

Allora, il pensiero acquisirà più velocità, maggior pregnanza, rendendoci sempre più consapevoli dell’attimo presente, l’unico stato di coscienza che racchiuda in sé la possibilità di cambiare.

Solo in questo stato, ritirati i sensi all’interno, è possibile arrivare alla concentrazione (ricordate Patanjali? Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana…), porta d’accesso alla vera meditazione.

Se vogliamo procedere nel cammino dello Yoga, non basta forgiare il corpo e la volontà, ma occorre raffinare i nostri strumenti fino a giungere alla concentrazione. In realtà, tutto lo Yoga pone il problema della concentrazione; dal contatto con il corpo, con le emozioni, con le forme mentali si giunge inevitabilmente al contatto con se stessi. A quel punto comincia il vero lavoro: lo Yoga non è che una scuola per la concentrazione, lo strumento più importante per arrivare a una vera comprensione. Ne parleremo diffusamente il prossimo mese. Buon lavoro!

(articolo pubblicato sul n. 19 Marzo 2008 della Rivista Vivere lo Yoga editore Cigra 2003 srl Milano che si ringrazia per la gentile concessione)