Come avere un cervello nuovo ogni giorno

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Come avere un cervello nuovo ogni giorno

Sintesi di Luisa Bafile

Giuliano Aluffi è l’autore dell’articolo “Come avere un cervello nuovo ogni giorno” pubblicato sul numero del 24 settembre 2021 della rivista Il Venerdì.

In questo articolo apparso l’auote intervista il neuroscienziato David Eagleman, docente alla Stanford University e fondatore di diverse start-up neuroscientifiche nella Silicon Valley.

L’argomento dell’intervista riprende il contenuto dell’ultimo libro di Eagleman, “L’intelligenza dinamica – L’evoluzione continua dei circuiti del nostro cervello”.

Eagleman ci ricorda che quando fu completata la mappatura del genoma umano i biologi rimasero molto sorpresi: si aspettavano di trovare circa 100 mila geni ma ne individuarono 20.000. Come spiegare che un numero così piccolo di geni potesse dare espressione all’intero essere umano e in particolare a un cervello dotato di 86 miliardi di neuroni, ognuno dei quali  connesso con altri 10.000? Questi numeri suscitarono molte perplessità e domande. Ma, dice Eagleman, la spiegazione sta nel fatto che l’evoluzione ha fornito l’uomo di un cervello incompleto che si perfeziona di continuo con ogni esperienza quotidiana del mondo esterno. Questo è riscontrabile osservando che, mentre a un neonato di zebra bastano 45 minuti per muoversi come un adulto, il neonato umano ha bisogno di molto tempo.

Sulla capacità del cervello umano di riorganizzarsi continuamente, ad esempio dopo un danno cerebrale, si trovano diversi esempi. Un caso ben noto è quello del piccolo Matthew, colpito da encefalite di Rasmussen e sottoposto all’asportazione di un emisfero cerebrale. Sebbene dopo l’operazione il ragazzo non riuscisse a parlare né a camminare, dopo mesi di riabilitazione fisioterapica e logopedica riprese le sue facoltà. Divenuto adulto, ha recuperato memoria e capacità cognitive normali. La metà del cervello rimasta si è riconfigurata per sopperire alle funzioni perdute con la parte mancante.

Più recentemente si è osservato che la corteccia visiva di chi ha perso la vista, specie se in giovane età, si riorganizza per aumentare la capacità dei sensi dell’udito e del tatto. Si è osservato che i tempi necessari per una risposta compensatoria sono incredibilmente rapidi: se si benda una persona, già dopo 60 minuti si osserva nella corteccia visiva una attività di risposta a stimoli uditivi. L’adattamento sembra iniziare immediatamente.

Da questa osservazione Eagleman ritiene di poter ipotizzare una spiegazione del mistero dei sogni. Sogniamo per non indebolire o perdere la vista. Di notte infatti non arrivano input alla corteccia visiva e quindi gli altri sensi potrebbero sottrarle neuroni. Il sogno avrebbe la funzione di mantenere la corteccia visiva attiva anche al buio. Questa ipotesi trova conforto nello studio del sonno di 25 specie di primati. Si è visto che più il cervello è “plastico”, cioè reattivo a modificazioni, maggiore è la durata dei periodi di sonno Rem, la fase del sonno che impegna la corteccia visiva.

Il neuroscienziato afferma pertanto che mantenendo impegnato il cervello si possono conservare le capacità cognitive fino in tarda età. E’ necessario però che l’attività sia stimolante, in qualche modo nuova, anche modificando piccole abitudini, in sostanza dovremmo sfidarci di continuo in campi che non conosciamo bene perché è lì che il cervello si impegna di più. E’ quanto è emerso nel “Nun Study” un’indagine iniziata nel 1986 e durata trent’anni su centinaia di suore vissute in convento. Sono state sottoposte a test cognitivi periodici e hanno accettato di donare il loro cervello alla scienza dopo la morte. Nel cervello di molte suore, che nei test cognitivi non davano segni di deterioramento cognitivo, si sono trovati danni da Alzheimer. Si ipotizza che la continua necessità di far fronte a situazioni di vario genere abbia permesso ai loro cervelli di riconfigurarsi continuamente per supplire alla perdita dei neuroni dovuta alla malattia.

David Eagleman ha poi portato sul piano pratico le risultanze di tutti questi studi. La sua start-up “Neosensory” ha realizzato un corpetto che raccoglie con dei microfoni i suoni dell’ambiente trasformandoli in vibrazioni trasmesse alla pelle. Con un po’ di allenamento si impara a interpretare il significato di queste vibrazioni. Lo scopo è quello di aiutare chi non vede e chi non sente a muoversi in sicurezza interpretando le vibrazioni sulla pelle come stimoli visivi e sonori modificati.

In una serie fantascientifica televisiva questi corpetti sono stati usati dai soldati per “vedere” e “sentire” al buio la presenza dei nemici. Ma l’applicazione ha risvolti molto utili. Indossando il corpetto e addestrandosi a interpretare le vibrazioni sulla pelle si è visto che, pur tenendo gli occhi chiusi, si può ad esempio percepire quante persone si hanno intorno, a che distanza sono, come si stanno muovendo.

E’ immaginabile un futuro in cui l’utilizzo di applicazioni di questo genere possa essere molto ampio.