Cinque regole per relazionarsi

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Cinque regole per relazionarsi

sintesi di Eleonora Pinzuti

Gianni Da Re Lombardi, autore di un articolo pubblicato sul n. 39 della rivista “yoga journal” afferma che yama, la prima delle prescrizioni relative all’ambito sociale esposte negli Yogasutra di Patanjali, ha un filo conduttore: il senso del distacco.

Negli Yogasutra,Patanjali definisce otto membra dello yoga, ciascuna delle quali rappresenta un percorso che il praticante dovrà intraprendere: non si tratta di stadi successivi ma di un continuum che comprende Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana e Samadhi.

I primi cinque stadi (“membra”), definiti Bahir-anga (“membra esterne”) riguardano attività relative al corpo e agli organi di senso visibili dall’esterno (da qui il nome) e costituiscono la base della pratica. Mentre Yama e Niyama (“prescrizioni” e “obblighi”) sono prerequisiti ideali a cui tener idealmente fede sempre,  le Asana (“posizioni corporee”) servono migliorare la salute e l’energia fisica; dopo un po’ ci si può avvicinare al Pranayama (“tecniche di respiro per controllare l’energia vitale”) per sperimentare successivamente il Pratyahara (cioè il “ritrazione dai sensi”, il riposo delle attività sensoriali).

I tre stadi successivi vengono chiamati Antar-anga, cioè “membra interne” perché, a differenza dei primi cinque, riguardano esperienze interiori non osservabili dall’esterno: si tratta di Dharana, la “concentrazione”; Dhyanameditazione” (mantenere a lungo e senza interruzione la concentrazione su un singolo oggetto) e di Samadhi, che rappresenta il “perfetto raccoglimento”.

La pratica delle prime cinque membra è propedeutica al raggiungimento delle altre tre.

Le norme di base Yama (“prescrizioni”) e Niyama (“obblighi”), riguardano le regole sociali: Yama tratta le norme di comportamento con gli altri, mentre Niyama si focalizza sui precetti personali, sul come agire verso se stessi.

Questo articolo parla dei precetti dello Yama, Ahimsa (“non violenza”), Satya (“verità”), Asteya (“non rubare”), Brahmacharya (“castità” o moderazione sessuale), e Aparigraha (“non attaccamento” ai beni materiali).

Ahimsa (“non violenza”)

Il concetto di non violenza implica evitare la violenza ad ogni livello. Ahimsa significa infatti “non ferire, sia in senso fisico che psicologico. Ogni maltrattamento, che sia di natura verbale o meno, genera altra violenza. Inoltre, l’odio e la rabbia rendono la mente instabile, non adatta a una corretta pratica yoga. Abolire la violenza fisica è il primo passo per abolire ogni forma di violenza o sopruso verbale; non usare parole aggressive ha una ricaduta anche sul pensiero: significa non pensare in modo violento o offensivo.
Evitare atti violenti nei confronti degli altri e di qualsiasi creatura è dunque fondamentale ed è il primo punto in agenda.

Satya (“verità”)

Praticare Satya significa aderire e ricercare la sincerità nella vita personale e sociale. Se ci riflettiamo, dire la verità è più facile che mentire, atto che comporta memoria, fantasia, sforzo. Inoltre ogni menzogna ne include altre, sottraendo energie preziose. Di contro, la verità dà coraggio mentre la bugia genera sensi di colpa. Ovviamente, alcune volte, anche la verità diviene una forma di violenza (dire cose sgradevoli a qualcuno, ad esempio): in quel caso dovremmo pensare che la nostra è una opinione, più che una “verità”. Chi pratica yoga deve imparare ad essere sincera/o, evitando di ferire gli altri.

Asteya (“non rubare”)

Astenersi dal furto significa evitare l’atto o il desiderio di appropriarsi di ciò che non ci appartiene. Rubare è un atto che un praticante yoga non deve attuare, danneggia gli altri e anche se stessi ingenerando pensieri e sentimenti negativi. Soprattutto è sintomo di un rapporto scorretto fra le proprie possibilità e i propri desideri. Essere centrati su di sé significa infatti praticare l’onesta e la rettitudine.

Brahmacharya (“castità”)

Brahmacharya è, come tutto ciò che riguarda il sesso, il punto più controverso. Letteralmente significa “seguire Brahman”, il principio divino dell’universo. Poiché Brahma, il creatore, è celibe, ciò starebbe a significare che l’energia sessuale va tenuta “sotto controllo”. Secondo alcuni, chi pratica yoga dovrebbe evitare qualsiasi attività sessuale, per altri basta che sia moderata.

Aparigraha (“mancanza di possessività”)

Aparigraha significa non attaccamento ai beni materiali, mancanza di avidità. Del resto, meno si desidera meno implicazioni si hanno dal punto di vista emotivo e mentale. Inoltre, meno si possiede meno si pesa sull’ambiente.
Da notare come il filo conduttore dei cinque Yama sia il “non attaccamento” in quanto distacco dalle emozioni negative scaturite dalla violenza; dai propri bisogni in virtù dell’accettazione della verità; dagli oggetti, attraverso il rifiuto del furto; dal piacere sessuale, con la castità o comunque la moderazione e, dal possesso, grazie al distacco.
Seguendo questo codice comportamentale i progressi della pratica yoga saranno maggiori e più facili.