Ashtanga Vinyasa Yoga

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Ashtanga Vinyasa Yoga

sintesi di Anna Orsini

Sul numero 16 di Novembre 2007 della rivista mensile Vivere lo Yoga, Monica Manzini ha pubblicato un articolo sull’Ashtanga Vinyasa Yoga, sottotitolato La Danza del Respiro. L’articolista sostiene che l’esistenza di ogni essere umano è scandita da un ritmo vibrante e palpitante corrispondente ad uno “stadio dinamico” dove si alternano momenti di precarietà e di stabilità, alla ricerca, mai raggiunta, di un reale equilibrio.

La forma dualistica sotto la quale si presenta la manifestazione della realtà dà origine a forse ambivalenti, a spinte uguali e contrarie che si alternano, si sovrappongono, si alleano o si contrastano, sia in campo fisico sia psichico.

Tale dicotomia affascina e tormenta da sempre filosofi e scienziati, sia in Occidente che in Oriente, i quali considerano il campo fenomenico e quello trascendente da prospettive diverse, giungendo, talvolta, a conclusioni apparentemente molto distanti tra loro.

Secondo il Samkhya, una delle sei scuole filosofiche ortodosse del pensiero induista, i due principi simmetrici eterni, da cui deriva l’intera realtà, sono la natura, Prakrti e, lo spirito, Purusha. Prakrti è la natura universale, l’energia primordiale, mutevole, indifferenziata, costituita dai tre guna, quiete, instabilità e inerzia, che si alternano, prevalgono o si affermano, determinando differenti modalità della natura.

Purusha è l’anima, puro essere e coscienza che, a volte, viene scambiato con Prakrti. La consapevolezza è il filo che collega fra loro queste due realtà. Trasformazione e conservazione costituiscono due facce della stessa medaglia e, la consapevolezza di ciò avvicina l’uomo all’idea dello scorrere del tempo in una spirale di metamorfosi perenne.

Il legame fra i due principi del Samkhya è nella psiche, luogo di confusione e di sbandamento, campo di battaglia ove si combattono pulsioni contrastanti condizionate da esperienze precedenti.

La pacificazione delle opposte solecitazioni, il superamento della dualità mente/corpo e, l’integrazione della polarità anima/mente/corpo è una tappa fondamentale nel cammino dello yoga. Patanjali, per ashtanga yoga, stabilisce un apparato teorico-pratico costituito da otto branche di applicazione che, in pratica, finiscono per confluire in un unico metodo.

A primi due livelli si colloca la pratica volta alla “modulazione” del comportamento umano: le astensioni (yama) e le osservanze (niyama) per il controllo, rispettivamente, degli atti compiuti verso gli altri e verso sé stessi.

Il terzo gradino (asana) rafforza la capacità di articolare i muscoli al fine di creare, per mezzo del corpo, un legame stabile e gioioso con la terra e tutti gli esseri con cui si entra in contatto.

A quarto stadio si inizia ad operare con il prana, o forza vitale, quella energia che scorre nell’universo. Ogni essere è un conduttore di prana, ma l’essere umano può incanalare questa energia in modo appropriato e dirigerla verso l’alto, in modo da poter trascendere la dualità corpo/mente.

Superato questo livello, Patanjali prevede lo sviluppo di una sensibilità sottile con la quale percepire al di là dei cinque sensi (pratyahara). Rivolgere i sensi verso l’interno, permetterà di percepire una parte più ampia di verità.

Il ritiro dei sensi permette di avanzare ad un successivo sesto livello di pratica yoga che consiste nella concentrazione (dharana). A questo livello, il flusso contemplativo, ancora disturbato da pensieri che sovraccaricano la mente, è discontinuo, ma con un esercizio costante i pensieri tendono a calmarsi e il silenzio della mente diventa ininterrotto. Ciò permette il passaggio ad uno stadio ulteriore (dhyana), in cui, pur osservando i contenuti della mente non ci si identifica più con essa.

La mente viene in tal modo portata in uno stato di chiara percezione che le permettere di riflettere, come uno specchio terso, il sé. Il fulcro dell’ashtanga yoga sta nello stadio dell’auto-consapevolezza o samadhi. Yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana e samadhi vengono praticati gradualmente e singolarmente, ma, poi, si fondano in una pratica unica.

L’immagine più efficace per descriverla è quella dell’albero costituito da otto “rami” che, una volta innestati e nutriti, si fonderanno fra loro per raggiungere la cima.

Attraverso la pratica fisica delle asana si accede ad una dimensione “mentale”, che permette di concentrarsi e, poi, lasciarsi assorbire nel flusso meditativo. Tutto è tenuto insieme dalla regolazione del respiro, trattenuto e rilasciato, dalla forza di volontà, coltivata e potenziata quotidianamente e, infine, dallo sguardo (drishti), un diaframma fra mondo interno e esterno che, restringendo la visione su un solo oggetto, permette di ampliarla al di à del suo aspetto materiale.

Ogni serie di asana ha uno scopo preciso, potenziante, terapeutico, equilibrante. Lo yoga agisce in modo sinergico sia da un punto di vista somatico (a livello del sistema cardiovascolare, endocrino, nervoso, muscolare, osseo) che psicologico (rimuove ansie, paure, nevrosi, attaccamenti).

Lo scopo dello yoga non è curativo. Liberare le potenzialità evolutive dell’uomo e aiutarlo a realizzare il proprio sé è un compito imprescindibile e indilazionabile, non una terapia che si scopre in un momento di bisogno o di difficoltà.