di Teresa Sintoni
Abbiamo a lungo descritto le tecniche del Pranayama. E ancora molti ne chiedono ulteriori, come se la conoscenza di una disciplina così antica e complessa corrispondesse semplicemente a un accumulo di nozioni.
E questo è un punto interessante, strettamente collegato a una certa mentalità moderna, legata al consumo. Succede per molte cose, oggi: si fagocita di tutto credendo di padroneggiare una conoscenza solo avendone registrato dei dati mentali, con pochi minuti di sperimentazione (se va bene) o ritenendosi più semplicemente soddisfatti per averne letto e così accresciuto il proprio patrimonio di opinioni. Ci dispiace deludere, ma questo è proprio il modo migliore per non comprendere e ottenere benefici da alcuna cosa. E’ come se pretendessimo di poter suonare con perizia uno strumento musicale semplicemente comprandolo e leggendone il manuale d’uso. Possiamo anche leggere con attenzione le note corrispondenti alle chiavi di un clarinetto, e magari anche le spiegazioni rispetto al modo di modulare il fiato e produrre fioriture e abbellimenti, ma finché non impiegheremo ore su ore ad esercitarci, provando e riprovando, giungendo spesso allo scoramento o toccando vette d’entusiasmo ogni volta che ci riesce un passaggio, non impareremo mai a suonare lo strumento.
Naturalmente ciò vale anche per il Pranayama, una tecnica che a maggior ragione diventa più difficile, in quanto chiunque parte dalla convinzione di saper già respirare. E qui si pone l’errore di base. Certo, i nostri polmoni incamerano aria e la espellano, utilizzando parte dell’ossigeno presente nell’aria, ma si tratta di una respirazione meccanica, appena sufficiente per sopravvivere, e soggetta alle alterazioni prodotte dagli stati emotivi.
Respirare davvero è ben altra cosa. Si tratta di un arte, nel vero senso della parola. E per arrivare all’arte occorre passare attraverso una serie di step che non si improvvisano di certo in pochi minuti di lettura di un articolo o di un libro.
L’essere umano è una macchina complicatissima. Per questo motivo, oltre a un apprendimento del proprio funzionamento per così dire “istintivo” l’uomo ha anche bisogno di conoscenza – deve cioè sapere come funziona – cosa che non può ottenere da sé, perché la natura non ha previsto questo genere di conoscenza attraverso l’istinto: occorre acquisirla mediante la mente, ovvero attraverso lo studio di sé.
Insomma, possiamo dire che l’uomo deve apprendere, e può farlo solo per mezzo di qualcuno che ha appreso- e compreso- prima di lui. Tuttavia, per riuscirci, serve anche un lavoro esperienziale, poiché la vera comprensione non passa solo attraverso la mente. Diciamo che lo studio può fornire la mappa, ma il territorio (che è profondamente diverso) può essere esplorato e conosciuto solo attraverso l’esperienza.
Per questo lavoro, lo strumento principale che abbiamo a disposizione è l’osservazione. Innanzitutto dobbiamo comprendere che “osservare non è interpretare”, che è invece quello che ordinariamente facciamo quando siamo posti di fronte a qualcosa. Non solo l’interpretazione è l’atto che ci viene più spontaneo, ma questa modalità ha raggiunto ormai un tale peso meccanico che siamo proprio convinti di osservare, mentre invece stiamo interpretando. D’altronde, il pensiero meccanico – quello che ci porta a interpretare – non è “pensare”, ma solo una semplice attivazione mentale. Per pensare davvero occorre introdurre un principio di consapevolezza (occorre essere “svegli”) e la tecnica più importante che può portarci in questa direzione è proprio quella dell’osservazione.
Un elemento utile che ci può aiutare è che l’osservazione guarda al “come” avvengono i fenomeni, mentre l’interpretazione è maggiormente orientata al “perché” essi si verifichino.
Osservare significa guardare al processo freddamente, senza fare congetture, senza preoccuparsi delle motivazioni che l’hanno reso possibile. Cominciamo dunque ad osservare il nostro respiro in questo modo. Facciamolo con calma, senza interferire, senza giudicare se ciò che stiamo vedendo ci piace o meno. Osserveremo così delle variazioni, delle discrepanze, dei momenti in cui il respiro scorre fluido e altri in cui è più trattenuto, spezzato incompleto.
Cominciamo insomma a conoscere il nostro respiro, mettendo in gioco un attitudine consapevole e attenta. Non preoccupiamoci delle tecniche, e lasciamo semplicemente che si sviluppi una profonda confidenza con l’atto di ascoltarci respirare. A poco a poco, in questo modo, coglieremo impercettibili variazioni, fenomeni più sofisticati che fino a quel momento ci erano sfuggiti. Noteremo, per esempio, l’azione del diaframma, l’influenza dei muscoli addominali, la contrattura della gola, la dilatazione delle narici e la differenza tra quella destra e sinistra nelle diverse ore della giornata. Si apriranno, insomma, spazi sempre più ampi in cui sarà possibile estendere la nostra osservazione e accrescere la confidenza con il nostro atto di respirare
Tutto questo è fondamentale. Dobbiamo arrivare ad elevare la nostra capacità di osservazione fino allo stato dell’arte, fino cioè a diventare dei veri esperti di ogni minimo e impercettibile fenomeno che si sviluppa mentre respiriamo .Solo allora sarà possibile conoscere a fondo durata, frequenza e intensità del nostro respiro; sentirne il percorso all’interno del corpo, oltre i polmoni, fino all’ossigenazione e alla vitalizzazione di ogni singola cellula; comprendere le fasi e percepire gli spazi in cui l’inspiro cambia qualità tramutandosi nel suo opposto. E dilatare questi spazi, fino a rendere spontanee le fasi di Kumbaka, allungandole progressivamente senza sforzo .
Dobbiamo sviluppare l’arte del nostro respirare praticando questa osservazione consapevole del respiro naturale senza sosta, di continuo, dedicando ogni momento possibile nel corso della giornata, anche mentre stiamo svolgendo delle attività. Se riusciremo a farlo, avremo già in pugno la tecnica più importante di tutte: quella del praticare consapevolmente, e il nostro respiro naturale già sarà sufficiente a farci raggiungere vette di raffinatezze altrimenti impensabili. Sarà eventualmente questo il momento di introdurre altre tecniche. Una respirazione quadrata, un’esecuzione di Kapalabathi, o un semplice ujjayi diverranno allora strumenti per un’espansione straordinaria del respiro consapevole, così come un pilota allenatosi per anni nell’arte della guida può godere delle superbe prestazioni di un auto dal motore potente e sofisticato. Alla base, ci sarà tuttavia sempre l’arte già appresa attraverso l’osservazione del respiro naturale: allora sapremo davvero suonare il nostro strumento e quelli che prima erano stati lunghi ed estenuanti esercizi, diventeranno ora, finalmente, vera musica.