A occhi chiusi

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A occhi chiusi

sintesi di Luciana Coen

Gianni Da Re Lombardi, autore dell’articolo apparso sul n. 44 della rivista “Yoga Journal”del giugno 2010, afferma che dharana (tenere, concentrare/si) è il primo delle tre membra dell’antar-anga (membra dell’interno) che concludono, insieme a dhyana e samadhi, il percorso yoga indicato da Patanjali.
Mentre i primi cinque (bahir-anga, membra dell’esterno) riguardano l’aspetto sociale e fisico-sensoriale, gli antar-anga sviluppano più specificatamente l’area spirituale. Gli antar-anga sono anche definiti samyama, indicante il percorso che partendo dalla concentrazione (dharana), passando per la meditazione (dhyana) giunge al samadhi (perfetto raccoglimento, concentrazione in sé).
Concentrazione significa porre l’attenzione su un singolo oggetto, mentale o reale, evitando deviazioni e riportando l’attenzione ad esso ogni volta che la mente divaga. Nella pratica quotidiana può accadere di esperimentarla quando si è presi, concentrati in un’attività così tanto da non percepire il mondo circostante (pratyahara – ultimo dei cinque bahir-anga).
La concentrazione è focalizzata su un oggetto interno (respiro, immagine mentale ecc.) oppure su un oggetto esterno (un punto, fiamma di candela ecc.). L’importante è, una volta trovato adeguato a sé l’oggetto di concentrazione prescelto, mantenerlo per gli esercizi successivi. Come ben descrive Desikachar ne “Il cuore dello yoga” – far partire un canale più profondo e unidirezionale da una cisterna d’acqua piuttosto che diversi canali che vanno in più e diverse direzioni – è come se al nostro interno convogliassimo l’attenzione in uno spazio più profondo piuttosto che in più spazi e magari più ridotti,.
La pratica dharana insegna a isolarsi mentalmente e poi a concentrarsi con maggiore facilità, utile anche nella vita quotidiana.
L’esperienza dello yoga è più utile rispetto alla lettura della pratica. Per dharana è positivo procedere con gli esercizi proposti per pratyahara, in particolare trataka, cioè guardare fisso in un punto, fino al ritiro dei sensi per giungere alla concentrazione assoluta sull’oggetto dell’esercizio, ricordando di non variare l’oggetto di concentrazione nelle successive prove. Una volta familiarizzato con dharana si può aggiungere un’altra pratica, la Chidakasha Dharana.
Chidakasha in sanscrito indica uno spazio che vediamo tutti i giorni ma che nessuno ha esplorato fino in fondo perchè infinito. E’ lo spazio oscuro che vediamo di fronte a noi quando si chiudono gli occhi. All’inizio è buio, poi compaiono forme che dipendono dalla luce filtrata attraverso le palpebre. Nel buio assoluto le forme che compaiono sono proiezioni mentali e stimolazioni generate dal nervo ottico. Chidakasha è un pozzo che è possibile esplorare quando si vuole, tenendo solo gli occhi chiusi per qualche minuto in una pratica di asana o in qualsiasi altro momento in cui sia possibile stare seduti in modo confortevole con schiena diritta e occhi chiusi.
Chidakasha può essere un buon metodo per identificare, prendere consapevolezza, comprendere e talvolta risolvere paure, debolezze, piccole ossessioni. I simboli e le immagini che la mente proietta durante la pratica possono portare alla luce alcuni dei nostri disagi.