Yoga Accessibile: trasformare la pratica onorando la sua storia

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Yoga Accessibile: trasformare la pratica onorando la sua storia

di Alessandra (Uma) Cocchi (*)

Yoga accessibile è un movimento nato in California come azione di opposizione alla tendenza contemporanea che vede lo yoga, soprattutto sul web, come pratica performativa adatta a pochi corpi, abilità estreme e status socio-culturali predefiniti. Appassionato ideatore dello Yoga Accessibile è Jivana Heyman[1], insegnante e formatore di Integral Yoga, che già nel 2009 aveva ideato un corso di formazione per insegnanti yoga con disabilità. Idea perno del movimento, oggi divenuto organizzazione internazionale, è uno yoga che si renda accessibile a tutti, indipendentemente dalle condizioni fisiche, mentali o sociali, ovvero una pratica inclusiva, adattata, personalizzata, integrata. Si tratta dunque di un approccio metodologico e non un nuovo stile in sé. D’altronde, chi tra noi insegnanti di yoga non è sempre più frequentemente sollecitato ad adattare la pratica? Questa esigenza apre una serie di riflessioni attente che portano in campo interrogativi diversi sulla didattica, sul linguaggio e sul ruolo dell’insegnante.

IL RITORNO ALL’ESSENZA DELLO YOGA

C’è davvero bisogno di uno Yoga Accessibile? La risposta è – paradossalmente – no! Se è vero che il termine yoga ha a che fare con una prospettiva di riconversione interiore, allora la pratica dovrebbe già essere inclusiva di per sé e accessibile a tutti. Dunque l’elitarismo performativo dilagante è una pura distorsione dei nostri tempi. Ciò comporta una riflessione profonda sul perché della pratica. Perché facciamo yoga? Perché ci piace uno stile e non un altro? E perché noi insegnanti impartiamo certe istruzioni per certe sequenze di posture? Perché scegliamo una certa pratica e proprio quella? Qual è il nostro fine? La risposta a queste domande emerge chiara se spostiamo il focus.

Praticare yoga significa ritornare all’essenza, rammendare tutti i fili che ci riportano al suo scopo, poiché sappiamo che non nasce come disciplina corporea, così come oggi la intendiamo. Già prima dell’uso del termine “yoga” in un’accezione vicina a quella con la quale concepiamo la pratica oggi, i testi parlavano di un tutto che si manifesta in diverse forme, pur mantenendo la stessa essenza (e il maestro Sivananda ricordava continuamente l’Unità nella Diversità). Tutti siamo parte dello stesso progetto di vita e meritiamo accesso alla sua verità.

Tornare all’essenza significa riassaporare il contatto con quella parte di noi autentica, originaria, che si nutre di pace profonda e di consapevolezza non egoica. Questo sposta completamente l’obiettivo dell’insegnante, ne modifica l’intenzione e l’impatto. Perché il fine non è più “fare una bella lezione per far star bene gli allievi”, bensì “come creare uno spazio sicuro attraverso il quale il praticante scopra la capacità di incontrare se stesso?” In una parola, che in italiano non sono in grado di rendere nella sua completezza, l’obiettivo è l’empowerment, ovvero la capacità di ricontattarsi e riposizionarsi nella vita.

IL RUOLO DELL’INSEGNANTE DI YOGA

L’attenzione si sposta così sul praticante; l’insegnante scompare, scende dal piedistallo di colui/colei che “istruisce” per farsi facilitatore /facilitatrice di un processo di progressiva riconquista dell’autonomia (intesa nel senso etimologico di “normarsi da soli”, empowerment appunto). L’insegnante suggerisce possibilità e opzioni proponendo libere esplorazioni, consente uno spazio di riscoperta. Ciò implica delle rivisitazioni metodologiche. Innanzitutto il linguaggio: che non sia impositivo né “istruttivo”, ma abbia la forma di un invito ricco di spunti per una ricerca attiva da parte del praticante, per una chiara conoscenza di se stesso e dei propri bisogni. Un linguaggio rispettoso che sia attento a non discriminare e ad accogliere ogni esigenza e condizione senza giudizio.

CREARE LO SPAZIO

E come si fa a trasformare in pratica tutto ciò? Jivana Heyman ha concepito e testato un approccio metodologico semplice ma potente, capace di fornire strumenti didattici utili sia che si abbia dinnanzi un gruppo omogeneo portatore di esigenze specifiche, sia che ci si trovi a guidare un gruppo misto (nel quale siano presenti livelli di abilità differenti oppure diversi “assetti di pratica”[2] come l’uso di una sedia, il letto, il muro…).

Ripercorriamo di seguito in maniera semplicistica, ma spero indicativa, i termini di una possibile lezione di “Yoga Accessibile Integrato”, dove per integrato si intende una pratica disponibile a diversi assetti e livelli di abilità, contemporaneamente.

La lezione inizia nel momento in cui l’allievo entra nello spazio dedicato alla pratica yoga. Primo obiettivo dell’insegnante è fare in modo che sia un luogo “sicuro”, protetto e libero: un posto in cui il praticante possa lasciarsi andare, affidandosi, per ritrovarsi.

Questo comporta il “lasciar spazio”, la libertà di scelta su dove e come posizionarsi. Il che include a sua volta l’assunzione di un linguaggio che non parli per conto del praticante, ma gli rammenti la sua libertà. Questa attenzione al linguaggio perdurerà per tutto il tempo della pratica.

Qualunque sia lo stile di yoga, il praticante sarà “invitato” – e solo parzialmente “istruito” – a esplorare l’espressione della postura che gli consente il ricongiungimento con sé stesso, che solo lui/lei conosce. Ciò non significa non curarsi dell’allineamento o di una pratica corretta; significa comprendere che quello di “pratica corretta” è un concetto estremamente soggettivo, e desideriamo che sia il praticante stesso a trovarla per sé. Dunque l’insegnante suggerirà varianti (mai in senso progressivo-gerarchico), inviterà a sperimentarle o a esplorare altre possibilità. Ma, soprattutto, non disgregherà le sue proposte personalizzandole a seconda dei livelli di abilità presenti. Sarà un processo integrato per i praticanti: dapprima di presa di fiducia, quindi resa (a se stessi) , infine riscoperta

UNITA’ NELLA DIVERSITA’

Commentava un insegnante di yoga nel momento di condivisione finale a conclusione di uno dei miei corsi di formazione in Yoga Accessibile: questo metodo obbliga a destrutturare il proprio cervello quando si insegna e a ristrutturarlo poi secondo una diversa prospettiva. E’ vero. Bisogna fare uno sforzo mentale per identificare, discriminare e strutturare le indicazioni necessariamente diverse a seconda degli assetti di pratica (sedia, tappetino ecc.) e separarle da quelle che possono essere comuni a tutti. Così, dopo aver invitato i praticanti a posizionarsi diversamente a seconda dell’assetto di partenza, si potrà dire: “Ora tutti insieme, prendiamo un profondo inspiro, insieme entriamo in postura…. insieme la manteniamo… e con un lento e fluido espiro, insieme la sciogliamo (ovviamente adattando il linguaggio e le indicazioni alla fattispecie della pratica proposta).

Non è così immediato, poiché si tenderà a dare istruzioni differenziate laddove potrebbero essere comuni; ad esempio, invece di dire: “Chi è in piedi si radichi attraverso le gambe; chi è seduto si radichi attraverso gli ischi” si potrebbe dire: “Vi invito a radicarvi attraverso i punti di contatto del corpo con ciò che lo sostiene (piedi…gambe…o ischi)” Questo è il modo di insegnare che definiamo “ integrato” e che consente a tutti di essere e di sentirsi parte dello stesso gruppo, dello stesso respiro, della stessa essenza.

CONCLUSIONI

Lo yoga è divina materia vivente. Una parte del pensiero contemporaneo lo vuole inclusivo, adattato, integrato. Torniamo alle radici, e riscopriamo il senso di ogni pratica e come essa sia stata concepita per consentire all’individuo di riconnettersi con la parte divina di sé. Un cambio di prospettiva per l’insegnante che potrà rivelarsi pregno di sorprese, anche per chi non intendesse abbracciare la metodologia dello Yoga Accessibile.

(*) Alessandra (Uma) Cocchi – Insegnante e formatrice di Yoga Accessibile, insegnante e formatrice di Integral Yoga, Yoga Terapist, che si ringrazia per la gentile concessione.

L’articolo è stato pubblicato su ATTRAVERSARE IL CAMBIAMENTO Percorsi Yoga – Associazione Nazionale Insegnanti – gennaio 2024 numero 85


[1] Si veda Cosa stiamo imparando dallo yoga online?, dialogo con Jivana Heyman  cura di Maria Chiara Mascia, in Percorsi Yoga 79, “Yoga online”, gennaio 2021, pp. 20-26.

[2] Ndr: l’espressione traduce l’inglese setting.

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